Cosa non funziona in The Haunting of Bly Manor

The Haunting of Hill House (da noi solo Hill House) è stata una serie in cui l’orrore era elemento distillato nei traumi dei protagonisti, tutti individuali ma con una matrice condivisa, una “madre” comune. Ed è proprio nel concetto di madre (dunque di maternità) che il bravissimo Mike Flanagan, regista e autore della serie, aveva trovato il centro del suo racconto di paura, fatto di spettri e di ombre che infestavano il maniero dei Crain metaforicamente e non. Fattore determinante in Hill House era la duplicità del significato di ogni fantasma, nella sua accezione più analitica emblema di un trauma ancora non fronteggiato, e di ogni dettaglio, importantissimo per decodificare le ossessioni e i rimorsi di una famiglia che non aveva ancora elaborato il lutto, perno della prima stagione.

Hill House doveva rimpolpare le vicende narrate nel romanzo di Shirley Jackson (L’incubo di Hill House) e nel film di Robert Wise (Gli invasati) in modo da ricoprirne la durata complessiva di circa 10 ore, e ci era riuscito rimescolando nomi e identità, ma soprattutto cambiando drasticamente il tono complessivo e scivolando nel dramma più puro con eleganza non solo stilistica. Cuore della serie, almeno quanto ciò che si cela nella stanza rossa del maniero, era la meravigliosa Olivia Crain di Carla Gugino, donna che avrebbe desiderato proteggere per sempre i propri figli in un nucleo famigliare serrato, scegliendo la solitudine come chiave d’esistenza e di salvezza, ignara dei pericoli annidati nel suo stesso istinto materno e in Hill House.

The Haunting of Bly Manor: Il primo spaventoso trailer fissa la data di  uscita
Stroncherò la seconda stagione, ma questa bambina è la Flora Wingrave PERFETTA

Bly Manor riavvia la serie antologica di Flanagan con una seconda stagione il cui romanzo di riferimento, stavolta, è nientemeno che The Turn of the Screw di Henry James, per i cinefili The Innocents di Jack Clayton, horror cult assoluto degli anni sessanta e opera di bellezza sopraffina, ancora oggi modernissima nella regia, nel ritmo, nella fotografia contrastata da tentacolari ombre nere e nelle interpretazioni, su tutte quella della straordinaria Deborah Kerr. Bly Manor non fa, in sintesi, la stessa cosa che ha fatto Hill House: anziché immaginare una storia complementare a quella cinematografica e letteraria preesistente si limita a riproporre, in chiave di remake smodatamente allungato, quella di Clayton. E purtroppo il risultato è una serie priva di mordente, di personaggi affascinanti o di momenti che siano almeno memorabili (e che lo siano in senso positivo). Eccezione fatta per gli easter eggs che fanno capolino sullo sfondo, spesso nel bel mezzo di dialoghi non sempre comprensibili in cui i personaggi si ficcano senza via d’uscita, Bly Manor non riesce a replicare l’ammirevole equilibrio fra dramma e terrore, fra pathos e tensione, che Flanagan era riuscito a trovare nella prima stagione.

The Haunting of Bly Manor: trama, cast, personaggi e data di rilascio
Uno dei più grandi protagonisti di The Haunting of Bly Manor: la sala da pranzo

Molti giustificheranno, come alcuni hanno già fatto, l’innegabile delusione che si prova dinanzi a un’opera che viene meno a una promessa (e all’attesa di un anno) con la tesi che vedrebbe questa seconda stagione come una love story, e non come una horror story, senza accettare che il problema sostanziale è l’assenza di una componente drammatica abbastanza efficace da sovrastare l’assenza del genere puro e autosufficiente. Non solo: molti noteranno che l’incaglio, nel tentare di difendere Bly Manor e il suo intreccio confuso e per nulla appassionante (ma quest’ultimo è il parere di chi scrive), sta nel realizzare che la seconda stagione di The Haunting si appiglia con tutte le unghie su quella componente orrorifica che molti vorrebbero cancellare per la sua innegabile debolezza. Sin da subito, infatti, gli autori della seconda stagione gettano le fondamenta del racconto di paura raccontando di uno spettro che perseguita la protagonista Dani. Poco conta che sia l’ombra di un trauma irrisolto: non solo il fantasma è congegnato per fare paura (casomai è, semplicemente, mal congegnato), ma anche in Hill House, che seguiva l’esempio di ogni buon horror, gli elementi e i soggetti paranormali si presentavano come lampanti allegorie di qualcos’altro e, contemporaneamente, esistevano all’interno di quell’universo e avevano grande peso nella concatenazione di cause ed effetti. In sintesi, il fatto che fossero fantasmi “reali” non alterava in alcun modo la metafora di cui erano portatori. In secondo luogo, dobbiamo ricordare che nella serie viene introdotta la leggenda della woman in the lake, cui viene addirittura dedicato tutto un episodio in bianco e nero concepito come una origin story del personaggio (che più horror non si potrebbe). E sì, nella mitologia della signora del lago è fondamentale la storia d’amore con un uomo, ma non centrale: l’ira da cui scaturisce la maledizione dell’intero maniero di Bly è dovuta non a un tradimento, né a una delusione amorosa, bensì all’ira (e poi alla vendetta) nei confronti di quella sorella che anni prima l’aveva soffocata in un impeto di puro egoismo e che ora vorrebbe appropriarsi dei suoi averi lasciati in custodia per il futuro di sua figlia.

The Haunting of Bly Manor Recap, Episode 8
L’episodio 1×08, The Romance of Certain Old Clothes

E cosa dire dei due spettri vaganti di Rebecca Jessell e di Peter Quint, che infestano la casa e minacciano i bambini Flora e Miles, ma anche Hannah Grose (che a sua volta è un fantasma e non lo ricorda, come Bruce Willis e Nicole Kidman prima di lei)?
Insomma, Bly Manor vuole essere una serie horror perché in scrittura e in regia presenta tutte le componenti che la rendono tale. Certo, è effettivamente nella chiusura della love story fra la giardiniera Jamie e l’amata Dani ai giorni nostri che la seconda stagione di The Haunting trova la propria conclusione, ma ciò non significa che si possa ignorare una decina di ore in cui si prova, con poco successo, a plasmare un universo horror dalle basi di quello di Henry James. Non significa che si possa ignorare che un film o una serie dell’orrore aspiri a punzecchiare le paure ataviche e intime dello spettatore e che i sentimenti umani, fra cui l’amore, entrino a pieno titolo nei principali modi in cui quest’obiettivo può essere raggiunto. È una leggerezza, da parte dello spettatore, motivare un mancato spavento o batticuore sulla base del genere cinematografico, ed è una leggerezza che svela un grosso errore nella scissione rigida entro cui si pretende di catalogare i generi: DA SEMPRE i migliori horror non sono “soltanto horror” (così come un’ottima opera di fantascienza non si crogiola nel suo universo per il solo gusto di farlo), ma non per questo si trasformano in film romantici per la presenza di una storia d’amore che può essere funzionale al racconto.

Why Tahirah Sharif's Rebecca Jessel Possesses Flora in The Haunting of Bly  Manor
Sono Rebecca Jessell e in nove ore di serie nessuno ha mai voluto capire perché fossi attratta da uno str***o

In Bly Manor ci si muove su un territorio che pullula di digressioni fini a se stesse, inserite ad ammorbidire la tensione fino ad annullarla perché lo scopo primario è, evidentemente, quello di riuscire a toccare una durata complessiva prestabilita. Digressioni inutili come quella dell’intero episodio dedicato al passato del piccolo Miles, che puntualizza con ritmo piatto su un background banale e che nulla incorpora alla psicologia di un personaggio pensato per essere primario ma dall’importanza piuttosto secondaria (in totale antitesi con quanto costruito dal romanzo di James). Digressioni brutte come quella della Donna del Lago, la cui mitologia insipida è quasi pretestuosa, tirata in ballo in modo goffo perché la tentazione irresistibile di ambientare un episodio nel passato e di farlo tingendolo in bianco e nero primeggia su un onesto intento di approfondire la donna che viene dipinta come fosse il centro di gravità di Bly Manor. Digressioni approssimative o mancate, come quella su Rebecca, che si limita a costituire la metà di una coppia (in un’analogia con il ruolo che riveste la piccola Flora, al cui passato non è stato dedicato lo stesso tempo dedicato al fratello Miles): se di Peter ci è dato conoscere, seppur a grandi linee, il trauma che ne giustificherebbe le azioni malvagie, non sapremo mai per quale motivo Rebecca è attratta dalla relazione tossica con un uomo che non fa il suo bene. E da qui la contraddizione nel dedicare un intero episodio dai contorni e dalla meccanica soap-operistica al rapporto fra i due, senza però specificare nulla sulla psicologia dei due personaggi, o nulla che conti davvero qualcosa. Ed è difficile empatizzare sinceramente con Dani, protagonista spesso abbandonata la cui storyline è condita di cliché e scelte approssimative, e interpretata da una Victoria Pedretti in costante stato di pesce fuor d’acqua.

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Tutto questo senza criticare la discutibile scelta di minimizzare la componente psicologica: Dani Clayton avrà pure un nome e un cognome diversi dalla Miss Giddens che s’aggirava nel maniero di Clayton (regista del film del ’61, non la nanny di Bly Manor), ma è un evidente e nemmeno celato doppio della protagonista che fu incarnata da Kerr. Bionda, giovane, vessata da un evento traumatico che non svanisce, adorata da Flora e del tutto determinata a portare a compimento il suo lavoro come si deve. L’unica sostanziale differenza è una, ma in grado di determinare (insieme a numerose caratteristiche stilistiche che non elencheremo) la superiorità qualitativa di The Innocents rispetto a questo prodotto pensato per essere appetibile al grande pubblico di Netflix: la “nuova” Miss Giddens – qui Miss Clayton in omaggio al grande regista – non è affatto pazza e non potrebbe comunque esserlo, perché tutto ciò che vede esiste senza ombra di dubbio. Dunque viene meno la doppia chiave di lettura di un’opera che ci aveva parlato delle trappole della psiche attraverso il punto di vista di chi ne è vittima, la raffinata ambiguità delle apparenze doppie, del dubbio, del potere della suggestione, del fragile e plagiabile confine fra realtà concreta e proiezione mentale.

A rappresentare la ciliegina sulla torta (una torta gigante, appariscente e dal cattivo sapore annacquato), il concetto di “tucked away in a memory”, o del rimanere sospesi fra i ricordi, oscillando fra uno e l’altro, passando la propria esistenza (o il dopo-vita?) in un passato immaginario, condannati a ripetere di continuo ciò che c’è già stato. Influenze nolaniane fuori luogo, eccessive, che suonano come una nota stonata nellarmonia di una fiaba horror e che scatenano molte, troppe incertezze su come davvero funzionino gli ingranaggi di questa macchina più complicata che complessa.

Un pensiero su “Cosa non funziona in The Haunting of Bly Manor

  1. Di recente non fanno che mettere quasi tutta roba per bambini. E non siamo neanche a Natale. Ultimente Netflix è una vera delusione. Tra anime, drama e cartoni animati semvra di guardare la Disney. Se non fosse per Punisher l’avrei già tolta. Come horror ci sono film troppo banali. Storie prevedibili e scontate.

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